Tra le istituzioni di culto e di beneficenza sorte nell’Alto Medioevo vi erano anche gli xenodochi (dal greco xenos/straniero e docheion/ospizio), case di ospitalità caritativa per viandanti e pellegrini, edificate nei pressi delle porte cittadine o fuori le mura urbane o lungo l’itinerario di una strada, cioè in una posizione facilmente raggiungibile.
Lo xenodochio cividalese, vicino ad una chiesetta dedicata a San Giovanni Evangelista, era ubicato nei pressi delle mura di cinta del lato est, in un luogo assai comodo sia per i viandanti che entravano in città dalla porta sancti Salvatoris, sia per quelli provenienti dalla zona detta Valle; dell’antica costruzione rimangono tracce architettoniche nell’attiguo ristorante.
Il primo documento che lo cita è un diploma dell’anno 792 di Carlomagno, che tra i beni pertinenti alla chiesa di Aquileia ricorda lo xenodochio di S. Giovanni Evangelista edificato in Cividale dal duca longobardo Rodualdo, alla fine del VII secolo.
È molto probabile che in esso si continuasse ad assistere i pellegrini e gli infermi almeno per tutto il XII secolo, prima che funzionassero i vari hospitales cittadini, riuniti poi con quello più importante di S. Maria dei Battuti.
L’aspetto della chiesa nei tempi più lontani si può ricostruire parzialmente, disponendo solo di alcuni dati frammentari: la facciata era caratterizzata da un campaniletto a vela, che accoglieva due campane; internamente vi erano tre altari e all’esterno disponeva, secondo la consuetudine, di un proprio cimitero cinto da un muro. Sappiamo con certezza che nel Quattrocento accanto alla chiesa vi era un portico, sotto al quale si radunava la pubblica vicinia, l’assemblea dei capifamiglia che governavano collettivamente il proprio borgo. L’edificio sacro in questo secolo fu interessato soprattutto da lavori di ordinaria manutenzione e la sua struttura non subì cambiamenti di rilievo.
Verso la metà del Cinquecento si colloca il primo, radicale cambiamento della chiesa di cui abbiamo sicura documentazione. I lavori svolti dal 1540 al 1542 portarono ad un edificio interamente rifatto ¬– nel maggio 1541 fu abbattuta la facciata della chiesa ¬– ed ampliato. Ogni tappa raggiunta nei lavori era festeggiata offrendo il licovo alle maestranze impiegate, una sorta di brindisi con merenda, di cui troviamo puntualmente annotate le spese. Domenica 18 maggio 1561 mons. Luca Bisantio Vescovo di Cataro consacrò solennemente il rinnovato edificio sacro.
Il nuovo altare maggiore e due altari laterali trovarono compimento dal 1580 al 1583. Una volta ultimati, la vicinia deliberò di collocarvi due dipinti di pregio. Non si badò a spese, affidando l’esecuzione dei dipinti al famoso e abilissimo Paolo Caliari detto il Veronese, dalla cui bottega uscirono le due opere «S. Rocco» e «Madonna con Bambino»; il con¬tratto per l’esecuzione dei due quadri risale al 24 marzo 1584, con un com¬penso stabilito in 35 ducati.
La sistemazione dell’interno della chiesa riguardò anche la soffittatura, realizzata dal 1597 al 1600. La fine del ’500 vide dunque una chiesa completamente rinnovata nella struttura, ultimata poi con l’erezione di una torre campanaria sul lato sinistro della facciata.
Sul fusto del campanile, a metà circa della sua altezza, é tuttora infissa una lapide con inciso ‘1600’ in grandi cifre, a ricordo della sua costruzione. Oltre al gravoso impegno economico dei lavori per il campanile, proseguì pure l’abbellimento dell’interno. Il soffitto della navata, ultimato da un decennio, attendeva ancora di essere degnamente ornato; fu preso contatto a Venezia con Jacopo Negretti, detto Palma il Giovane, cui si commissionarono i dipinti. In questo ciclo incastonato nel soffitto, con calori caldi e pastosi sulle cui tinte scure risaltano i bianchi e gli ori delle vesti, il Palma ritrasse «S. Giovanni Evangelista» nel tondo centrale, attorniato da quattro «Dottori della chiesa».
Nel 1649 fu la sacrestia ad essere oggetto di rinnovamento. Con ulteriori lavori che costellarono il Seicento la chiesa venne così rifinita nel suo interno ed arricchita da opere d’arte di alto livello.
In seguito si volle sostituire l’antico altare maggiore ligneo con un nuovo manufatto, eretto nel 1742 ad opera di Simone Periotto di Udine, con una ricca decorazione plastica in marmo bianco e rosso; ai suoi lati furono poste le statue di S. Giovanni Battista e di S. Giovanni Evangelista, firmate dallo scultore Jacopo Contiero.
La nutrita sequenza di lavori nella chiesa acquista ancor più rilevanza considerando che nella parrocchia di S. Giovanni in Xenodochio la popolazione era, alla metà del Settecento, di sole 150 persone. La chiesa disponeva di cospicue entrate grazie alla vendita del vino ricavato da suoi terreni, la produzione si aggirava sui 100 conzi di vino, pari a circa 70 ettolitri, venduti a Cividale. Per evitare il pagamento del dazio che in epoca veneta gravava sui prodotti transitanti dalle porte cittadine, la conservazione di questo vino avveniva in una cantina appositamente affittata fuori del perimetro urbano, a Rualis.
Un’altra sentita esigenza riguardava una sacrestia più ampia, anch’essa fatta divenire realtà nel 1754. L’anno dopo ci si occupò della sua dotazione di arredi, incaricando il maestro lignario Mattia Deganutti, il più abile artefice friulano del Settecento, di realizzare un monumentale armadio. Dalla sua bottega cividalese uscì un ricco mobile, intagliato e lastronato in radica di noce, a due ordini, con sovrastante fastigio centrale; in seguito si aggiunse anche una coppia di confessionali e una cattedra. Ad ulteriore ornamento della nuova sacrestia si deliberò di far eseguire una pittura su tela da allogarsi sul soffitto; quest’opera raffigurante la «Gloria della Vergine con il Bambino e S. Giovanni Battista», dalla ricca tavolozza cromatica, si trova ora esposta al Museo Cristiano.
Verso la fine del secolo la chiesa andò incontro a nuovi, consistenti cambiamenti. Nel 1783 la vicinia deliberò infatti di rinnovare interamente l’edificio sacro, ristrutturato poco più di due secoli prima. L’organizzazione fu lenta e complicata, si produssero più progetti e infine si riuscì ad avviare l’ampliamento, interessando per primo il presbiterio con lavori protratti dal 1796 al 1801. La relativa spesa assorbì tutte le risorse disponibili della chiesa e fu necessario risparmiare il più possibile, sospendendo pure le consuete distribuzioni di pane ai parrocchiani in occasione delle festività di Pasqua e di S. Giovanni Battista.
Nel 1797 il patrimonio artistico delle chiese cittadine subì un grave depauperamento per la confisca ad opera dei Francesi occupanti Cividale ed anche la chiesa di S. Giovanni in Xenodochio e la fraterna di S. Rocco, che vi aveva sede, dovettero consegnare la loro argenteria.
Il piccolo cimitero contiguo all’edifico sacro fu ceduto, nel 1802, per aprire una nuova strada di uscita dalla città, ad uso delle truppe francesi.
Per una trentina d’anni l’unica parte della chiesa ad essere ammodernata rimase il coro. Risollevata la situazione finanziaria, si decise di proseguire nel suo rifacimento integrale, dandone incarico all’ingegnere Giuseppe Cabassi di Corno di Rosazzo. Come risulta dal suo progetto del 1835, questi concepì una chiesa in stile neoclassico. Un lustro dopo giungeva a compimento il lungo iter approvativo delle autorità civili e nel 1842 partivano questi impegnativi lavori, che ne trasformeranno radicalmente l’aspetto. Inizialmente previsti di soli sei mesi, per svariate vicissitudini le opere edilizie si prolungavano assai di più e avevano termine dopo un anno e mezzo. In quel tempo i parrocchiani erano 224, in 44 famiglie.
Per il completo rinnovamento dell’edificio mancavano ancora alcune opere, soprattutto la sostituzione dei vecchi altari lignei laterali, che accoglievano le pregevoli tele del Veronese. Era la cappella destra ad accogliere per prima un nuovo manufatto, realizzato nel 1850, quello di fronte sorgeva un quarto di secolo dopo.
La chiesa era arricchita dalla presenza di un organo nel 1888 e l’interno giungeva a pieno compimento con la decorazione eseguita dal pittore Carlo Gorgacini, che ornava la cupola dell’abside con cassettoni e rosoni, al centro della stessa dipingeva una «Gloria con lo Spirito Santo» e sulla parete centrale un Crocifisso. Nel 1891 le disponibilità della fabbriceria permettevano di far ultimare allo stesso pittore la decorazione del soffitto della navata, con ornati a chiaroscuro su fondo a finto oro.
La chiesa di S. Giovanni in Xenodochio non ha subìto particolari modificazioni nel corso del Novecento. Si é rischiato di perdere le sue opere più preziose, per il furto perpetrato tra il dicembre 1972 ed il febbraio 1973, a danno di entrambe le tele del Veronese, fortunosamente recuperate nell’ottobre dello stesso anno.
La chiesa ha riportato dei danni in seguito al sisma del 1976, le riparazioni più urgenti sono state praticate con l’intervento del Genio Civile e nel 1985 è stato rifatto il tetto del campanile. In seguito l’edificio sacro è stato oggetto di un accurato e prolungato intervento conservativo.
Claudio Mattaloni